Chiunque abbia compiuto la maggiore età da un po’ e ci sta leggendo in questo momento sa cosa ha significato per la nostra generazione il Commodore 64. Nel momento in cui questa vecchia tastiera collegata ad un lettore di musicassette (ancor prima dei floppy disc) è sbarcata in Italia, abbiamo potuto registrare il primo vero passaggio dal vecchio modo di giocare, con pupazzi e giochi da tavolo, al videogioco domestico.
Prima di allora videogame significava soltanto sala giochi, con quei mostri giganti di cui la maggior parte di noi a malapena raggiungeva lo schermo con la testa, ma che averli in casa era un’impresa impossibile. Ed invece nel gennaio 1982 il Commodore 64 arriva sul mercato americano, e da lì comincia la rivoluzione che ha portato alle console odierne.
A dir la verità prima di questa console se ne erano succedute altre, la più famosa delle quali era l’Atari che, per chi non la conoscesse, aveva una grafica peggiore dei primi videogiochi sui cellulari in stile Snake. Per questo il Commodore 64 è universalmente riconosciuto come il padre delle console moderne. La sua composizione era semplice: una tastiera che la maggior parte degli utenti non sapeva nemmeno a cosa servisse, a parte due o tre tasti che servivano per far partire i giochi; un lettore di cassette, un trasformatore che pesava almeno un paio di chili ed il joystick, che ancora non era un joypad, ma era più simile ai videogame da sala giochi che ai controller odierni.
Alcuni giochi non erano nemmeno così scarsi, e ricordiamo che su questa console sono “nati” molti personaggi come Donkey Kong, o modi di giocare come il primo picchiaduro d’azione come Double Dragon. Indimenticabili le ore passate a giocare a Last Match, il primo gioco di calcio che aveva i calciatori tutti identici (cambiava soltanto il colore della pelle bianco o nero) e senza volto né capelli.
Appena uscì in Italia costava quasi un milione di lire, ma purtroppo durò poco, una decina d’anni circa a causa dell’uscita dei prodotti Sega e Nintendo che colonizzarono il mercato. Il costo del Commodore 64 (64 KB di memoria RAM fittizia visto che erano molto meno, ed un processore ad 8 bit) cominciò a crollare, fino a non superare nemmeno le centomila lire, ed il mercato nero dei videogiochi pirata fece il resto. Non ci voleva nulla a replicare un gioco, bastava doppiare la cassetta come quelle che contenevano la musica normale (per il floppy disc era lo stesso) ed il gioco era fatto.
La società che produceva il Commodore 64 dichiarò bancarotta nel 1994 quando la tecnologia aveva permesso videogiochi della Nintendo molto più avanzati e difficili da duplicare, e si stavano per affacciare i primi videogiochi portatili come il Gigtiger o il Game Boy. Ad ogni modo oggi è l’anniversario di questo che è un pezzo di antiquariato, trent’anni che nel mondo dell’informatica equivalgono a circa 100 per un essere umano, e per questo merita almeno un caro ricordo da parte di milioni di bambini, ormai grandi, che con lui sono cresciuti e si sono innamorati dei videogiochi.