Al momento i più grandi mercati per i videogiochi sono Stati Uniti e Giappone, seguiti da Regno Unito, Germania, Italia e Francia. Molto presto però tutti questi potrebbero essere spazzati via dal mercato in via di sviluppo per eccellenza, quello cinese. Uno degli ultimi retaggi del regime comunista caduto da circa un decennio proteggeva il mercato interno dei videogiochi, quasi inesistente, bloccando l’ingresso delle console straniere. Oggi però, che con internet basta un clic per poter giocare a qualsiasi gioco del mondo, questa barriera potrebbe cadere, e le conseguenze sarebbero enormi. Una vera manna dal cielo per i publisher.
Si dice che il mercato dei videogiochi stia calando, e che il mercato dei giochi usati stia erodendo i margini di guadagno dei produttori. Se però entrasse in gioco anche la Cina, le cose cambierebbero radicalmente. Basti pensare che solo in Italia il comparto dei videogiochi (escludendo le console fisiche ma parlando solo di software) è vicino ad un fatturato di 1 miliardo di euro. Figuriamoci cosa potrà fare un Paese che ha 25 volte la nostra popolazione.
Il divieto all’importazione di videogiochi vige dall’anno 2000, da quando cioè la Sony dei rivali giapponesi aveva conosciuto il momento migliore con l’exploit della PlayStation 2 e si era capito che questo mercato poteva fruttare non poco. Secondo diverse fonti vicine al Governo sembra che, in nome del mercato globale nel quale la Cina è ormai un pilastro, ogni divieto potrebbe essere eliminato.
A favorire questa decisione c’è anche la constatazione che il mercato nero delle console era diventato un vero problema dato che molte Wii ad esempio erano prodotte proprio in Cina, ed alcune partite anziché prendere le navi per l’Europa e l’America rimanevano illegalmente nel Paese. L’unico limite sembra essere che le console vendute in quel Paese debbano essere prodotte proprio in Cina, ma visti i bassi costi di manodopera crediamo che questo non sia un problema per le major. I guadagni in quanto a software valgono certamente la candela.